Categorie: Facility Management

L’adozione di un modello di lavoro ibrido condiziona il modo con cui le imprese gestiscono i propri spazi. Lo space management va ora indirizzato verso la massima efficienza, ma anche verso la creazione di esperienze lavorative straordinarie in un contesto e con delle dinamiche molto diverse dal passato.  

 

Il lavoro ibrido condiziona lo space management 

Nella sua essenza, l’hybrid work disassocia l’attività (lavorativa) dallo spazio, permettendo alle persone di definire – e, spesso, scegliere – l’ambiente che meglio si sposa con la mansione da svolgere: ufficio e casa, ma anche coworking, biblioteca, musei, diventano i pilastri di un’unica work experience moderna, sinergica e connessa.  

Nel contesto appena descritto, sulle imprese grava l’onere di ripensare i propri spazi non soltanto in funzione di una fisiologica riduzione delle presenze, ma anche della necessità di esaltare l’aspetto esperienziale dei luoghi di lavoro. Uno dei rischi del remote working, infatti, è quello di creare una separazione netta tra l’employee e la sua stessa azienda: attraverso un corretto ripensamento e gestione degli spazi, gli ambienti dovrebbero invece fungere da “concentrato” di cultura aziendale, dovrebbero favorire la collaborazione, la condivisione, e completare così un’esperienza produttiva e appagante per chi la vive. Senza contare che, nell’era hybrid, un corretto space management consente all’azienda di risparmiare sui servizi all’immobile (date le minori presenze) e implementare nuovi modelli di business: si pensi, a titolo d’esempio, alla possibilità di adibire spazi inutilizzati a coworking, così da ottenere nuovi introiti.  

 

Nell’era digitale, la gestione degli spazi è data driven 

Nell’era del lavoro ibrido, lo space management è guidato dai dati. Creare esperienze positive senza concedere nulla sul fronte dell’efficienza è infatti possibile, a patto di conoscere come le persone lavorano, di cosa hanno bisogno, quali servizi utilizzano e in che modo traggono beneficio dal lavorare in ufficio in un’era in cui la presenza fisica non è più obbligatoria, o non lo è per il 100% del tempo.  

L’Activity Based Working (ABW) è il paradigma da cui partire: le imprese dovrebbero realizzare tante tipologie di spazi che risultino non soltanto ottimali per le attività da svolgere, ma anche complessi da realizzare in altri contesti, come casa propria o una biblioteca. Largo quindi a sale riunioni specifiche per il brainstorming, ad ambienti finalizzati alla massima concentrazione o alla socializzazione, un altro aspetto fondamentale dell’esperienza lavorativa che si è un po’ perso con il lavoro da remoto.  

Il digitale, dicevamo, è pervasivo. Un workplace ibrido comprende tutti gli strumenti necessari per il booking degli spazi, il check-in/out automatico, gli strumenti di video conferencing per realizzare meeting ibridi con persone in presenza e altre da remoto, le piattaforme di collaborazione remota, strumenti di comunicazione unificata (UCC) e via dicendo.  

L’impiego di strumenti digitali permette inoltre alle imprese di ottimizzare lo space management, rilevando puntualmente quanto vengono utilizzati gli spazi, come sono gestiti dalle persone, eventuali difficoltà e problematiche. Tutto ciò emerge dai tool a disposizione dei dipendenti (es. le soluzioni di prenotazione delle scrivanie), ma anche da survey periodiche o contestuali a determinate attività, come il check-out da una specifica sala riunioni. Sulla base di questo patrimonio informativo trasmesso e – potenzialmente – analizzato in tempo reale, le imprese possono riprogettare gli spazi, tarare al meglio i servizi in funzione delle previsioni di utilizzo concreto, crearne di nuovi e di moderni per gli employee (noleggio auto via app o prenotazione mensa per citarne alcuni) e assisterli meglio lungo tutta l’intera esperienza lavorativa, realizzando – come detto – risparmi da un lato e employee engagement dall’altro, che si traduce in più produttività, attrazione di talenti, minor turnover e più attaccamento ai valori dell’azienda.

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